Nella mitologia greca, le arpie (lett. “le rapitrici”, dal verbo greco ἁρπάζειν harpazein, “rapire”) sono creature mostruose, con viso di donna e corpo d’uccello. L’origine del loro mito deve forse ricondursi a una personificazione della tempesta.Le arpie sono citate nell’Odissea di Omero (libro XX):
in una preghiera ad Artemide Penelope ne parla come di procelle e ricorda che rapirono le figlie di Pandareo per asservirle alle Erinni. Esiodo parla di due arpie, Aello e Ocipete, figlie di Taumante ed Elettra; di esse dice che avessero una magnifica capigliatura e che fossero potenti nel volo.
Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio (libro III) le arpie, per ordine di Hera, perseguitano il re e indovino cieco Fineo, portandogli via le pietanze dalla tavola e sporcandogliela.
Virgilio cita le arpie nell’Eneide, facendo il nome di una terza sorella, Celeno.
(…) Strofadi grecamente nominate
Son certe isole in mezzo al grande Jonio,
Da la fera Celeno e da quell’altre
Rapaci e lorde sue compagne arpie
Fin d’allora abitate..
(…)Sembran vergini a’ volti, uccegli e cagne
A l’altre membra; hanno di ventre un fedo
Profluvio, ond’è la piuma intrisa ed irta,
Le man d’artigli armate, il collo smunto,
La faccia per la fame e per la rabbia
Pallida sempre, e raggrinzita e magra.. (Virgilio, Eneide, III, 354-368)
Dante Alighieri cita le arpie nel Canto XIII dell’Inferno: esse rompono i rami e mangiano le foglie degli alberi al cui interno si trovano le anime dei suicidi, che, in questo modo, provano dolore e hanno dei pertugi attraverso i quali lamentarsi.
Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,
che cacciar de le Strofade i Troiani
con tristo annunzio di futuro danno.
Ali hanno late, e colli e visi umani,
piè con artigli, e pennuto ‘l gran ventre;
fanno lamenti in su li alberi strani. (Dante, Inferno, XIII, vv. 10-15)